Dorte Madrup, uno studio di architetti danesi con base a Copenhagen, era presente all’edizione del 2018 con un’installazione che ha fatto parlare di sé.
La Biennale di Venezia la presentava così:
“Un’opera che riflette molti dei valori espressi nel manifesto di FREESPACE, lo straordinario Icefiord Centre in Groenlandia, è un progetto che affronta le sfide più estreme relativamente alle condizioni climatiche, una costruzione dalle grandissime aspettative quanto ad ambizione e funzione. La rilevanza storica del luogo, unita alla creazione di uno spazio abitabile deputato all’interazione sociale all’interno di un “superpotere della natura”, ha prodotto un progetto solido abbastanza per adagiarsi leggero sul terreno ed esercitare una singolare presenza poetica.” (cit. link)
E poetica lo era anche l’installazione: un gigantesco e candido guscio ovoidale, una stanza nella stanza, perfettamente insonorizzata, posta tra le Corderie e le Artiglierie dell’Arsenale di Venezia.
Quando, incaricati dello smontaggio, iniziammo a studiare i progetti e scoprire i materiali di cui era composta l’opera, ci accorgemmo però di un elemento fondamentale che avrebbe potuto compromettere il carattere di sostenibilità che l’aveva sin qui contraddistinta.
Oltre che travi e pannelli di legno potenzialmente riutilizzabili, gran parte del padiglione era costituito da enormi blocchi sagomati di polistirolo, per un totale di oltre 200 metri cubi, incollati tra loro e con altri diversi tipi di materiali, a quote che potevano raggiungere i 6 metri. Uno smontaggio ‘standard’ non avrebbe potuto che produrre una considerevole quantità di rifiuti misti, classificati come indifferenziati e come tali costosissimi da smaltire.
L’unica soluzione percorribile e che, in controtendenza rispetto alle altre proposte sino ad allora ricevute dai curatori, avrebbe salvato quella imponente mole di materiali dall’essere bruciata negli inceneritori -e produrre diossina-, era quella di selezionare, differenziare e pulire ogni singolo elemento, per facilitarne il riciclo.
Solo in questa maniera siamo stati in grado di stringere un accordo con una importante azienda del settore, la Politop s.r.l, consentendogli di poter processare nei loro macchinari quel polistirolo al fine di produrre nuova materia prima. Materiali sporchi, misti e voluminosi possono compromettere le costose attrezzature e restituire un prodotto finale impuro e, come tale, inservibile.
Tutto è bene quel che finisce bene, ma per inquinare di meno bisogna lavorare di più, in tutti i sensi.
Bisogna arrivare preparati alle fasi finali di mostre temporanee così importanti e prevedere, prevenire, qualsiasi spreco o smaltimento oneroso dal punto di vista ambientale, adottando nuove strategie progettuali e costruttive che incentivino e facilitino piuttosto il riutilizzo delle proprie installazioni.